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Il Corpo Forestale dello Stato contro i bracconieri

Liberati due animali intrappolati ed assicurato un responsabile alla giustizia

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Il corpo Forestale dello Stato, a pochi giorni di distanza ed in diverse località, nell’ambito di operazioni antibracconaggio, ha liberato due cinghiali, entrambi caduti in trappole fatte di cavi d’acciaio (quelli che nel gergo dei bracconieri si chiamano “lacci”), illecitamente utilizzate per la cattura di fauna selvatica, ed ha colto un bracconiere in flagranza di reato.

Il primo dei due episodi risale all’11 gennaio scorso, quando, in Contrada Montupoli a Miglianico, il personale del Comando Stazione Forestale di Lanciano, intervenuto a seguito di una segnalazione al numero 1515 di emergenza ambientale del Corpo Forestale dello Stato, si è trovato di fronte un esemplare femmina di circa 70 kg, ancora viva, che tentava invano di liberarsi dalla trappola. In quell’occasione, è stato necessario richiedere l’intervento del Servizio Veterinario della ASL Lanciano-Vasto-Chieti, che, dopo aver  narcotizzato l’animale, lo ha liberato dalla stretta, curando la profonda ferita inferta dal fil di ferro. E’ attualmente in corso un’attività d’indagine per individuare il responsabile.

Simile accaduto, ma ancora più eclatante, si è verificato alcuni giorni dopo, il 21 gennaio, a San Vito Chietino, dove una pattuglia del Comando Stazione Forestale di Lanciano, nel corso di un appostamento, atto finale di una pregressa attività d’indagine, ha sorpreso un bracconiere mentre, armato di fucile, si avvicinava ad un cinghiale caduto in trappola, nell’intento di sopprimerlo. L’animale, spaventato ma vivo, è tornato in libertà, mentre il bracconiere rischia non soltanto la condanna al pagamento di un’ammenda fino a 3.000,00 euro, per l’esercizio di attività venatoria con mezzi non consentiti dalla legge, ma anche la reclusione da tre mesi ad un anno e la multa da 3.000,00 a 15.000,00 euro, per maltrattamento di animali.

L’uso di lacci per la cattura di fauna selvatica è un fenomeno aberrante, diffuso sul nostro territorio.

Oltre all’atto di bracconaggio (ove è bracconaggio ogni forma di uccisione o cattura di animali selvatici al di fuori delle regole dettate dalla L. 157/1992), questo genere di trappole sono particolarmente insidiose, perché poco visibili e perché strumenti di vera e propria tortura: l’animale che vi capiti, a seconda della specie (perché non c’è peraltro alcuna selettività nella cattura), si può autostrangolare o recidere la parte intrappolata (i carnivori) o, come in questo caso, tentare di divincolare lacerandosi fino alla morte. E’ molto raro riuscire ad intervenire tempestivamente quando un bracconiere aziona la propria rete a scatto per catturare piccoli volatili o quando un laccio si stringe alla zampa di un lupo, di una volpe o di un ungulato. Ed infatti, i reati acclarati rappresentano solo una goccia nel mare dell’illegalità venatoria. E’ impossibile immaginare quanti siano realmente gli atti di bracconaggio perpetrati e quanti gli animali illegalmente uccisi ogni anno in Italia.

Proprio per questo il CFS, dedito all’attività antibracconaggio sin dalla sua fondazione, ha istituito nel 2005 il Nucleo Operativo Antibracconaggio (NOA), specializzato nell’attività di contrasto agli illeciti venatori, attraverso il quale ha realizzato operazioni di rilievo su tutto il territorio nazionale.

L’impegno del CFS in un costante e mirato controllo del territorio ed il senso civico dei cittadini che, nel percepire la gravità di tale tipologia di reati, ne fanno tempestiva denuncia, sono due fondamentali tasselli nella lotta alla criminalità, per la tutela della nostra fauna selvatica e per il lieto fine di vicende come queste.

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